Educazione ambientale e divertimento: l’estate con il centro estivo e il campo di volontariato

L’estate appena conclusa è stata ornata di tantissime attività educative, ludiche e sociali che hanno coinvolto 135 bambini  e ragazzi/e trai 4 e i 12 anni.

Sono state 8 settimane dove sono state affrontate numerose tematiche a partire dall’acqua e la sua importanza per la vita, al clima e le azioni necessarie per affrontare l’emergenza, passando per la città e l’importanza di un ecosistema urbano sano, arrivando poi al lavoro, tra tradizione e sostenibilità. Sono state affrontate le problematiche sulla tutela del suolo e della biodiversità, passando per il problema dell’inquinamento. Il tutto si è concluso con un viaggio lungo la catena alimentare e l’importanza di conoscere il cibo, la sua origine e la sua produzione.

Di seguito i diari di bordo delle settimane del Centro Estivo 2022:

Prima settimana_L’ACQUA: l’oro trasparente

Seconda settimana_IL CLIMA: siamo noi il cambiamento

Terza settimana_LA CITTÀ: ecosistema urbano

quarta settimana_ IL LAVORO: tradizione e sostenibilità

quinta settimana_TERRA MADRE: la tutela del suolo

sesta settimana_LA PLASTICA E L’INQUINAMENTO: l’eredità del futuro

settima settimana_LA BIODIVERSITÀ E GLI ECOSISTEMI

ottava settimana_LA CATENA ALIMENTARE

Un altro importantissimo progetto che ha colorato l’estate del Parco Bizzozero è stato il Campo di volontariato 2022, che ha visto il coinvolgimento di 14 ragazzi e ragazze tra i 14 e i 18 anni.

La settimana si è aperta all’insegna della conoscenza, conoscenza tra formatori e partecipanti e conoscenza dello spazio ospite, il Parco Bizzozero. La settimana ha poi proseguito alla scoperta degli ecosistemi, della loro complessità e salute, affrontando il tema della biodiversità e di come ogni cosa sia collegata, percorso che ci ha portato presso il giardino dell’Orto Botanico di Parma con la sua storia e le diverse funzioni che nel tempo ha assunto.

Molto importanti ed interessanti i due giorni dedicati al monitoraggio di acquae suolo, dove sono stati misurati i valori di nitrati e fosfati in diversi campioni d’acqua (tra cui quella del Torrente Parma) e misurate temperatura e pH del suolo verificandone la variabilità a differenza del tipo di area e vegetazione presente!

 

 

                                                                    

Molto costruttivo e divertente il diretto contatto con la campagna e la sperimentazione della cucina di casa a partire dal campo fino tavola grazie alla disponibilità della mitica Mimma che ci ha arricchito con tanti racconti sugli importanti cambiamenti che la campagna ha subito e continua a subire.

 

 

 

La settimana si è conclusa con uno scambio finale tra  i volontari, educatori e partecipanti al progetto e con un sentito “A presto!” 

Ringraziamo di cuore tutti/e volontari/e ed educatrici/educatori che hanno lavorato per realizzare ancora una volta un’esperienza divertente, formativa e davvero arricchente!

Al prossimo anno con nuove avventure!

La rievoluzione non si ferma – un oceano di risorse da salvare

L’oceano: potente, vitale, misterioso. Un ecosistema complesso e indispensabile per la salute del nostro pianeta, eppure ancora così poco conosciuto. Sono tantissimi gli interrogativi sul mare ancora irrisolti; paradossalmente abbiamo più informazioni sulla superficie della Luna che su quella delle profondità oceaniche. Si stima addirittura che il 90% delle specie marine non siano ancora state scoperte. Eppure le acque salate ricoprono più del 70% della superficie del nostro pianeta, tanto che, anziché pianeta Terra, sarebbe forse più corretto chiamarlo pianeta Oceano. È questo il titolo del saggio divulgativo dedicato all’importanza e alle fragilità dei nostri mari scritto da Mariasole Bianco, biologa marina e fondatrice della onlus Worldrise per la conservazione del mare. Perché, se c’è qualcosa che sappiamo, è che un oceano in buona salute è indispensabile per  l’intero pianeta, umanità compresa. L’oceano, con le sue correnti, contribuisce infatti alla regolazione del clima, ospita circa l’80% della biodiversità mondiale ed è il principale serbatoio di anidride carbonica. Assorbe ogni anno un quarto delle nostre emissioni rilasciando in cambio, grazie all’instancabile lavoro del fitoplankton, la metà dell’ossigeno che respiriamo. Non è quindi la foresta amazzonica il principale polmone verde della Terra, come molti pensano; l’oceano si aggiudica anche questo primato.

Questo ambiente così vasto e potente è stato per lungo tempo considerato come una fonte inesauribile di risorse, senza prestare particolare attenzione alla sua effettiva salute. Oggi sappiamo invece che quello del mare è un equilibrio delicato e minacciato su più fronti, che si trova oggi più che mai al centro dell’attenzione della comunità scientifica. Quest’anno l’Unesco ha infatti inaugurato il Decennio del mare: una decade di studi, progetti ed interventi dedicata dalle Nazioni Unite alle scienze del mare e allo sviluppo sostenibile.

Il cambiamento climatico sta infatti ponendo sotto stress anche l’ecosistema marino; l’aumento della temperatura delle acque porta a conseguenze complesse e non sempre prevedibili che vanno ad alterare il funzionamento delle correnti oceaniche e il trasporto di nutrienti, influenzando l’intera catena alimentare. Molte specie hanno inoltre un intervallo di temperatura ottimale limitato, al di sopra del quale fanno fatica a sopravvivere. È quello che sta succedendo, ad esempio, alle zooxantelle, piccole alghe simbionti dei coralli e necessarie alla loro sopravvivenza. La loro scomparsa nei mari sempre più caldi provoca lo sbiancamento dei coralli e la morte di ecosistemi fondamentali come le barriere coralline, fenomeno allarmante documentato dal film chasing coral. L’aumento della concentrazione di anidride carbonica porta inoltre ad un altro fenomeno preoccupante: quello dell’acidificazione degli oceani.

Anche l’inquinamento pesa fortemente sulla salute degli oceani. Tutto quello che viene emesso nell’ambiente, presto o tardi, finisce in mare; la tragica situazione dell’inquinamento da plastica ce lo ha dimostrato. 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare ogni anno, andando ad alimentare quelle che sono ormai 6 enormi isole, di cui la più grande (il great pacific garbage patch) supera la dimensione degli Stati Uniti. Data la scarsa biodegradabilità dei materiali plastici, questi non si decompongono del tutto ma restano nell’ambiente anche per millenni, sotto forma di minuscoli frammenti, le famose microplastiche. La plastica, di qualsiasi dimensione, seppur non direttamente tossica è molto pericolosa per la vita sottomarina; le microplastiche sono particolarmente dannose anche per noi. Tanti sono gli animali che le ingeriscono scambiandole per cibo: dai piccoli organismi planctonici fino ai grandi pesci che arrivano sulle nostre tavole. La plastica è così entrata a far parte della catena alimentare ed è ormai presente anche nella nostra dieta: una ricerca recente stima che siano in media 40.000 le microplastiche ingerite da una persona ogni anno.

 

Acordo global para prevenir pesca predatória emperra na OMC | Exame

 

Ma i problemi non finiscono qui. Non è solo quello che gettiamo in mare a cui dobbiamo prestare attenzione, ma anche quello che da esso preleviamo. La pesca intensiva sta infatti minacciando la maggior parte delle specie ittiche, portandoci silenziosamente ad un mare con più plastica che pesci. Sono più dell’80% infatti, secondo ricerche recenti, le specie commerciali sovra sfruttate;  questo vuol dire che peschiamo troppo e troppo spesso, senza lasciare ai pesci il tempo di riprodursi e ripopolare i mari, andando quindi ad impoverire sempre di più gli stock ittici. Già nel 2009 il documentario al capolinea- the end of the line aveva denunciato la situazione riportando la voce preoccupata di molti scienziati che sostenevano che, se la pressione della pesca non fosse diminuita, entro il 2050 avremmo potuto trovarci di fronte ad un mare senza pesci. Da allora le cose non sembrano essere migliorate, tant’è che l’anno scorso 50 scienziati hanno firmato una lettera, indirizzata al Commissario europeo per l’Ambiente, per chiedere di porre maggiori limiti alla pesca in modo da favorire la ripresa degli ecosistemi marini.

Recentissimo è inoltre l’approdo su Netflix di un nuovo documentario di denuncia: Seaspiracy. Questo mette in luce, oltre all’inarrestabile declino delle specie ittiche, i tanti e poco noti danni collaterali della pesca intensiva. Dalle reti disperse o abbandonate responsabili di più della metà dell’inquinamento da plastica dei nostri mari, al massacro silenzioso di tartarughe, squali e cetacei o di tutte le specie non pregiate che, una volta pescate insieme alle specie target, vengono rigettate in mare spesso già morte. Questa porzione, definita pesca accidentale (o bycatch), ammonta secondo i dati del WWF al 40% del pescato mondiale, uno spreco che non possiamo più permetterci. Anche l’acquacoltura ha un impatto tutt’altro che trascurabile sia a livello di inquinamento che di distruzione di habitat e non può dunque essere considerata un’alternativa sostenibile alla pesca. Senza contare che la maggior parte delle specie commerciali allevate, come il salmone, sono carnivore e nutrite con farina di pesce. Bisogna quindi continuare a pescare anche per nutrire i pesci di allevamento, senza una vera diminuzione di pressione sugli stock ittici.

L’unica soluzione veramente sostenibile sembrerebbe quindi quella di ridurre le quantità di pescato, combattere la pesca illegale che ogni anno sfora i limiti stabiliti per legge ed investire nella conservazione dell’ambiente marino con la creazione di riserve protette, che diano alle specie sempre più minacciate il tempo e lo spazio per riprendersi e tornare a popolare i nostri mari. Perché la buona notizia è che, se gliene diamo la possibilità, l’ecosistema marino è in grado di rigenerarsi sorprendentemente in fretta.

 

Articolo di Marta Lauro per Legambiente Parma

La Rievoluzione non si ferma – l’ecoconsiglio della settimana: Cowspiracy – il segreto della sostenibilità

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La Rievoluzione non si ferma – L’ecoconsiglio della settimana: stiamo navigando in “Cattive acque”

Cattive acque” è il film che vi consigliamo questa settimana. Diretta da Todd Haynes, la pellicola si basa su una storia vera, la storia dell’avvocato Robert Billott che, nel 1998, si trova a combattere una battaglia ventennale contro una delle più grandi aziende chimiche, la DuPont. Qual è il capo di accusa? Aver riversato per anni e anni residui tossici nei corsi d’acqua vicini al loro impianto di produzione in West Virginia.

I residui tossici in questione (i PFOA) appartengono ai PFAS (sostanze perfluoroalchiliche), composti chimici che rendono le superfici trattate impermeabili all’acqua e allo sporco. Queste molecole furono brevettate durante la seconda guerra mondiale e furono poi utilizzate nella produzione degli oggetti più disparati come tappeti, divani, pesticidi, coloranti, cera per pavimenti e detersivi. L’uso più noto è sicuramente quello legato alla produzione del teflon, materiale utilizzato come rivestimento antiaderente delle padelle e inventato proprio dalla stessa DuPont. Le PFAS sono state definite “molecole eterne” perché a causa della loro elevata stabilità sono resistenti ai principali processi naturali di degradazione, quindi una volta che entrano all’interno di un organismo ci rimangono e, con il tempo, si accumulano.

I corsi d’acqua del West Virginia sono stati così avvelenati pian piano. Il film, tendenzialmente giallo, assume delle sfumature da pellicola horror quando vengono mostrate le conseguenze dei residui tossici sui cittadini e sugli animali: mutazioni genetiche, malformazioni nei neonati, infertilità e comparsa di tumori, uno scenario simile a quello dei peggiori disastri nucleari.

La DuPont era a conoscenza degli effetti dei PFOA sulla salute e sull’ambiente? L’avvocato Billott riuscirà ad ottenere una condanna per il colosso della chimica imputato? A voi scoprirlo!

Interessante sottolineare che questa storia, così lontana geograficamente da noi, in realtà ci riguarda molto da vicino.

In Veneto, infatti, si sta tutt’oggi combattendo una battaglia molto simile a quella del West Virginia. Tutto è iniziato nel 2011, quando il CNR (Centro Nazionale delle Ricerche), in seguito a diversi studi, ha riscontrato una grande quantità di PFAS nelle acque superficiali e di falda del Veneto; questa volta l’industria chimica colpevole dell’inquinamento si chiama Miteni.

Attualmente la zona interessata dall’inquinamento di PFAS è pari a 180 km2 che si estendono tra le province di Padova, Vicenza e Verona, ma la contaminazione è in continua espansione. Maggiori informazioni e dettagli su questa vicenda sono disponibili per gli interessati all’interno del dossier di Legambiente “La chimica dell’acqua”.

 

Articolo di Federica Giancecchi per Legambiente Parma

La rievoluzione non si ferma: Come ridurre gli sprechi d’acqua in casa

L’acqua è una risorsa naturale fondamentale per la nostra sopravvivenza e sempre più minacciata. Da un lato assistiamo infatti all’inasprirsi di problemi “nuovi” come i  cambiamenti climatici (con periodi di siccità più frequenti ed intensi), l’inquinamento e l’impoverimento delle riserve di acqua potabile. Dall’altro “vecchie” questioni quali sprechi e cattiva gestione delle risorse idriche continuano […]