Dai telegiornali ai social, dalle conferenze internazionali al movimento giovanile inaugurato da Greta Thunberg: la crisi climatica è ormai sulla bocca di tutti. Le temperature sono in aumento quasi ovunque a causa delle emissioni antropiche di gas serra, e le conseguenze di questo squilibrio si fanno sempre più gravi e complesse. Ma in questa battaglia alle emissioni abbiamo degli alleati silenziosi. Quello del carbonio è infatti un ciclo naturale, proprio come quello dell’acqua. Ci sono fonti di emissione che liberano anidride carbonica (CO2 ) in atmosfera ma ci sono anche serbatoi che assorbono e trattengono la CO2, trasformandola in altre forme di carbonio non volatili. Un classico esempio, il più famoso, è quello degli organismi fotosintetici (come piante e alghe) che, assorbendo anidride carbonica dall’aria, la trasformano in zuccheri tramite la fotosintesi e producono ossigeno come scarto. Ma la vegetazione non è l’unico bacino naturale di carbonio, né il più importante: la maggior parte della CO2 è assorbita infatti dagli oceani e dal suolo. Si stima che suolo e vegetazione insieme possano assorbire fino al 30% delle emissioni antropiche annuali. Tantissimi sono i servizi ecosistemici offerti dal suolo: dalla mitigazione climatica alla produzione alimentare, dalla regolazione del deflusso idrico a quella del del ciclo dei nutrienti. Senza contare che costituisce l’habitat di una vastissima fetta di biodiversità.
Ma come se la passano i nostri suoli? I ritmi di perdita di questa importante risorsa sono serratissimi. Per consumo di suolo si intende la sua impermeabilizzazione a causa di coperture artificiali che portano alla perdita, nella maggior parte dei casi irreversibile, delle sue funzioni. Secondo i dati dell’ARPA nel 2018 in Italia sono stati consumati 57,5 km2, ovvero circa 21 campi da calcio al giorno, 2 metri quadrati di suolo perso ogni secondo. Le pianure del nord, l’area di Roma e le fasce costiere sono le aree più colpite. Il fenomeno inoltre è più concentrato nelle aree rurali rispetto a quelle urbane, con conseguente continua perdita di suolo agricolo e sviluppo frammentario e disperso delle città che si insinuano in maniera spesso disorganizzata nelle campagne, un fenomeno definito sprawl urbano o dispersione urbana. In Emilia-Romagna i tassi di consumo di suolo sono piuttosto elevati, con una percentuale di suolo urbanizzato (8,9%) superiore alla media nazionale (7,1%). Il comune di Parma, con il 21% di suolo urbanizzato, condivide con Piacenza il primato regionale per consumo di suolo. Il paradosso dell’espansione incontrollata del cemento nei terreni fertili della rinomata food valley è stato evidenziato da Nicola Dall’Olio nel suo cortometraggio Il suolo minacciato, giunto ai 10 anni di produzione e disponibile su youtube (clicca qui). La rapida e continua perdita di suolo fertile è un problema sempre più grave, tanto che l’Unione Europea ha posto l’obiettivo, ambizioso ma necessario, di azzerare il consumo netto entro il 2050.
L’importanza del suolo è stata sottolineata recentemente anche dall’uscita di due documentari, a un paio di anni di distanza l’uno dall’altro: la fattoria dei nostri sogni (2018) e kiss the ground (2020). Kiss the ground, seppur non affrontando direttamente tutte le problematiche del caso (non viene ad esempio esplorata la questione di deforestazione e desertificazione legate alla creazione di pascoli),ci invita a ripensare in maniera intelligente l’uso e la gestione del suolo, riconoscendolo come fondamentale alleato nella lotta ai cambiamenti climatici. Se è vero che urbanizzazione e cementificazione stanno riducendo drasticamente la quantità di suolo naturale disponibile, è altrettanto vero che la maggior parte di questo è impiegato come suolo agricolo. L’agricoltura occupa, a livello mondiale, il 50% delle terre emerse. E più del 70% di questi terreni è utilizzato per il pascolo o la produzione di mangime per il bestiame. La filiera della produzione alimentare ha un grande impatto sull’ambiente ed è responsabile di un quarto delle emissioni antropiche globali. Ma il modo in cui trattiamo il suolo può fare la differenza. Il documentario ci ricorda infatti come le diverse pratiche agricole abbiano effetti diversi sulla capacità del suolo di trattenere materia organica, stoccare carbonio e sequestrarlo dall’atmosfera. Questo grazie alla ricca e intricatissima biosfera presente al suo interno: un potente ed intricato consorzio di radici, batteri, funghi e invertebrati che, se preservato, lavora incessantemente per completare il ciclo dei nutrienti e renderli disponibili per la copertura vegetale, mantenendo il suolo fertile e in salute. L’agricoltura intensiva con le sue monocolture, i terreni lasciati nudi per diversi mesi l’anno, l’uso eccessivo di pesticidi, fertilizzanti ed erbicidi e l’aratura profonda, disturba l’equilibrio biochimico del terreno e impoverisce il suo prezioso consorzio di organismi laboriosi, facilitando la dispersione del carbonio in esso accumulato e riducendone progressivamente la fertilità.
Proprio da un suolo ormai più simile ad un deserto sterile, nei pressi di Los Angeles, parte l’avventura di La fattoria dei nostri sogni che ci racconta, seguendo la storia vera di una famiglia ripresa quasi in tempo reale, la difficile ma praticabile via dell’agricoltura rigenerativa, basata sull’incremento della biodiversità e sul rispetto dei tempi e degli equilibri della natura. Introducendo decine di specie vegetali e animali diverse, osservando e cercando di comprendere le loro sempre più numerose e complesse interazioni alla ricerca di un delicatissimo equilibrio naturale che garantisca la stabilità dell’ecosistema, nel giro di 8 anni quegli ettari di terreno arido si trasformano in un modello di fattoria biologica e biodinamica rigogliosa, che attrae visitatori da ogni parte del mondo.
Una voce di speranza, un’alternativa possibile e praticabile, per non sottovalutare il grande potenziale sotto ai nostri piedi.
Articolo di Marta Lauro per Legambiente Parma