La Rievoluzione non si ferma – L’ecoconsiglio della settimana: stiamo navigando in “Cattive acque”

Cattive acque” è il film che vi consigliamo questa settimana. Diretta da Todd Haynes, la pellicola si basa su una storia vera, la storia dell’avvocato Robert Billott che, nel 1998, si trova a combattere una battaglia ventennale contro una delle più grandi aziende chimiche, la DuPont. Qual è il capo di accusa? Aver riversato per anni e anni residui tossici nei corsi d’acqua vicini al loro impianto di produzione in West Virginia.

I residui tossici in questione (i PFOA) appartengono ai PFAS (sostanze perfluoroalchiliche), composti chimici che rendono le superfici trattate impermeabili all’acqua e allo sporco. Queste molecole furono brevettate durante la seconda guerra mondiale e furono poi utilizzate nella produzione degli oggetti più disparati come tappeti, divani, pesticidi, coloranti, cera per pavimenti e detersivi. L’uso più noto è sicuramente quello legato alla produzione del teflon, materiale utilizzato come rivestimento antiaderente delle padelle e inventato proprio dalla stessa DuPont. Le PFAS sono state definite “molecole eterne” perché a causa della loro elevata stabilità sono resistenti ai principali processi naturali di degradazione, quindi una volta che entrano all’interno di un organismo ci rimangono e, con il tempo, si accumulano.

I corsi d’acqua del West Virginia sono stati così avvelenati pian piano. Il film, tendenzialmente giallo, assume delle sfumature da pellicola horror quando vengono mostrate le conseguenze dei residui tossici sui cittadini e sugli animali: mutazioni genetiche, malformazioni nei neonati, infertilità e comparsa di tumori, uno scenario simile a quello dei peggiori disastri nucleari.

La DuPont era a conoscenza degli effetti dei PFOA sulla salute e sull’ambiente? L’avvocato Billott riuscirà ad ottenere una condanna per il colosso della chimica imputato? A voi scoprirlo!

Interessante sottolineare che questa storia, così lontana geograficamente da noi, in realtà ci riguarda molto da vicino.

In Veneto, infatti, si sta tutt’oggi combattendo una battaglia molto simile a quella del West Virginia. Tutto è iniziato nel 2011, quando il CNR (Centro Nazionale delle Ricerche), in seguito a diversi studi, ha riscontrato una grande quantità di PFAS nelle acque superficiali e di falda del Veneto; questa volta l’industria chimica colpevole dell’inquinamento si chiama Miteni.

Attualmente la zona interessata dall’inquinamento di PFAS è pari a 180 km2 che si estendono tra le province di Padova, Vicenza e Verona, ma la contaminazione è in continua espansione. Maggiori informazioni e dettagli su questa vicenda sono disponibili per gli interessati all’interno del dossier di Legambiente “La chimica dell’acqua”.

 

Articolo di Federica Giancecchi per Legambiente Parma

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