Al pari dell’acqua e dell’energia, gli alimenti sono un bisogno primario dell’uomo e, oltre a essere disponibili, devono essere di elevata qualità, diversificati, accessibili, sicuri per il consumo e convenienti dal punto di vista economico.
La filiera produttiva alimentare, che in generale include tutti i materiali, i processi e le infrastrutture inerenti all’agricoltura e all’allevamento, agli scambi commerciali, alla vendita al dettaglio, al trasporto e al consumo di prodotti alimentari, è fortemente legata al concetto di alimentazione e impatto ambientale.
Questo perché il repentino incremento demografico, la globalizzazione e l’urbanizzazione sconsiderata avvenuta negli ultimi decenni, hanno portato ad innovare i metodi di produzione verso un’agricoltura di carattere intensivo per sopperire la domanda di beni alimentari.
Per sostenere i ritmi di vita sempre più “frenetici”, l’uomo moderno ha imparato a convivere e a fare un più largo consumo di prodotti alimentari industriali e “confezionati”, talvolta a discapito della propria salute. Al tempo stesso vi è poca considerazione e consapevolezza di quanto la produzione, così come il trasporto di merci impattino sull’ambiente, causando perdita di biodiversità, deforestazione, inquinamento idrico, spreco di acqua dolce ed emissione di gas serra.
L’Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) stima che nel nostro Paese, relativamente all’emissione di gas serra, la produzione agricola sia responsabile per il 45%, i trasporti per il 19%, il packaging per il 13% e la fermentazione enterica per l’11% mentre appare più contenuto il contributo della trasformazione industriale (5%). Come evitare tutto ciò?
La risposta è più vicina di quanto possiamo immaginare… è necessario riflettere sulle nostre scelte alimentari quotidiane ed attuare piccoli accorgimenti a sostegno dell’ambiente, senza stravolgere abitudini e tradizioni culinarie.
Mediterraneo è meglio! – Se facessimo un viaggio per il mondo alla ricerca della biodiversità, scopriremmo che il nostro territorio è in grado di fornirci un’ampia varietà di prodotti sia vegetali che animali, necessari al mantenimento di una dieta sana ed un apporto nutrizionale bilanciato. Non a caso è proprio qui che nasce il modello di dieta Mediterranea, tutt’oggi riconosciuta come patrimonio immateriale dell’UNESCO. Tuttavia, ha avvertito il Direttore Generale della FAO, la dieta mediterranea – come molte altre diete tradizionali in tutto il mondo – sta cedendo il passo alle abitudini alimentari moderne e alla crescente dipendenza dalla cosiddetta “alimentazione facile” offerta da supermercati e fast-food. Il modello della Dieta Mediterranea, come già sappiamo, è il più sano dal punto di vista nutrizionale ma anche il più sostenibile dal punto di vista ambientale, in quanto prevede un abbondante consumo di alimenti vegetali e di olio d’oliva come principale fonte di grassi aggiunti. Inoltre, prevede un’assunzione moderata di pesce e molluschi, un consumo moderato o basso di uova, pollame e latticini (formaggio e yogurt), un consumo ridotto di carne rossa e grassi saturi. Questi principi garantiscono il rispetto della biodiversità e degli ecosistemi, utilizzando in modo efficiente le risorse naturali e umane, permettendo così di non generare effetti negativi a lungo termine sulla salute e sull’ambiente. L’idea di riscoprire le nostre tradizioni e le “ricette della nonna” è il modo migliore per sostenere l’ambiente e appagare il nostro fine palato! Siamo onesti: quanto può essere allettante per vista, gusto e olfatto una tavola imbandita con prodotti genuini e nostrani?
Carne rossa sì, ma con moderazione! – Secondo un rapporto FAO, la nostra alimentazione ha un impatto sull’ambiente superiore a quello del settore industriale e dei trasporti. Il motivo principale è legato al massiccio consumo di carni: la filiera produttiva dell’industria delle carni, contribuisce fino al 22% alle emissioni annuali di gas serra; parliamo soprattutto di metano (CH4), un gas particolarmente dannoso per il clima capace di intrappolare 84 volte più calore della CO2 nei primi due decenni dopo che è stato rilasciato nell’atmosfera. Gli allevamenti di mucche e bovini sono senza dubbio i maggiori responsabili delle emissioni di gas metano, in quanto i mammiferi ruminanti, per fermentazione enterica (una parte naturale del loro processo digestivo), decompongono e fermentano il cibo ingerito producendo, appunto, metano. Inoltre, la produzione di carne bovina rilascia 4 volte più gas serra di una quantità equivalente di calorie di carne suina e 5 volte più rispetto al pollame. Da non sottovalutare è anche l’elevato dispendio di acqua impiegato per l’allevamento di animali da carne e indirettamente anche la perdita di biodiversità dovuta alla conversione di foreste e aree verdi in terreni da pascolo o per la coltivazione di mangimi da destinare agli animali. La carne occupa un posto ben preciso nella piramide alimentare: non si consiglia certamente di consumarla ad ogni pasto ma non viene neanche bandita. 1-2 porzioni di carne rossa a settimana rientrano infatti perfettamente nel nostro modello alimentare ma ridurla è un ulteriore passo verso una dieta più sostenibile. Oltre all’ambiente ne gioverà la tua salute!
Le 4 stagioni – Consumare frutta e verdura di stagione non è solo un modo sano ed equilibrato di mangiare, ma contribuisce anche a proteggere l’ambiente, limitando fra l’altro l’inquinamento dovuto al trasporto delle merci. Difatti, coltivare verdure in qualsiasi periodo dell’anno ha un costo ambientale elevatissimo: servono grandi serre riscaldate e illuminate che richiedono molta energia, influiscono sulle emissioni di gas serra e in più sono considerate il metodo di coltivazione a più elevato utilizzo di prodotti chimici. Se vogliamo dirla tutta, tra i vari aspetti che occorre considerare, vi sono anche i benefici che il nostro “portafoglio” potrebbe ricevere dall’acquisto di prodotti di stagione. E perché questo? I motivi sono di carattere economico: per la semplice legge della domanda e dell’offerta, acquistare prodotti stagionali, nel loro arco temporale, comporta una maggiore offerta che fa abbassare il prezzo. Perciò vediamo che “madre natura” con i suoi frutti ci fornisce tutto ciò di cui abbiamo bisogno al momento giusto, donandoci le migliori caratteristiche sia qualitative che organolettiche, al minor prezzo possibile!
Dalla terra alla tavola – Gli alimenti a “Km zero”, definiti anche con il termine più tecnico a “filiera corta”, sono prodotti locali che vengono venduti o somministrati nelle vicinanze del luogo di produzione. Scegliere prodotti a Km 0 ha tanti vantaggi. Innanzitutto, evitiamo o riduciamo l’impatto ambientale del trasporto. Se facessimo la somma dei trasporti di prodotti alimentari, per tutti i paesi, risulterebbe difficile anche solo immaginare quante emissioni di inquinanti ogni anno vengono rilasciate nel mondo! Basti pensare che, nonostante l’Italia sia da sé produttrice di una grande varietà di mele, siamo abituati a vedere ogni giorno nei supermercati anche quelle provenienti dalla Cina, prodotte a 8.100 chilometri di distanza. Questo vale anche per le arance spagnole (1.800 chilometri), il grano ucraino (1.675 chilometri) o canadese (6.727 chilometri), gli asparagi peruviani (10.000 chilometri) e il kiwi neozelandese (18.600 chilometri). Le emissioni di CO2 delle arance che arrivano su strada dalla Spagna rilasciano nell’atmosfera 245 KgCO2, l’aglio pakistano compie 3.300 chilometri emettendo 1.185 KgCO2 per viaggio aereo. Per cui, al momento della spesa, prestiamo attenzione alla provenienza dei prodotti che acquistiamo; ne guadagneremo in qualità, ambiente e portafoglio!
Packaging – Il problema dei materiali utilizzati per il packaging e lo smaltimento degli stessi è una discussione all’ordine del giorno nei vari Istituti a livello comunitario (ad esempio con il bando alla plastica monouso approvato dall’Unione Europea nel 2018) così come a livello di singole aziende, con l’obbiettivo di risolvere il problema degli imballaggi monouso. Contemporaneamente la ricerca avanza, proponendosi di trovare soluzioni ad un packaging ecosostenibile e indirizzandosi verso alternative sperimentali come gli imballaggi alimentari edibili e compostabili. Dovremmo tuttavia ricordare che, il più tradizionale ma al tempo stesso sostenibile, organico, economico e resistente materiale è senza dubbio il cartone, che, essendo caratterizzato da un elevato grado di biodegradabilità (pari al 80%) è il più performante dei materiali riciclabili. Anche questa volta, occorre ponderare le nostre scelte durante l’acquisto, prestando attenzione all’etichetta e, magari, optando per prodotti con imballaggi ecosostenibili o provenienti da materiali riciclati.
Tanti piccoli gesti possono contribuire a fare la differenza, provare per credere!
Articolo di Elisabetta Antonazzo per Legambiente Parma