La rievoluzione non si ferma: Plastica, da rifiuto a risorsa

Il termine “plastica” deriva dalla parola greca “plastikos” che significa “in grado di essere modellato”, “malleabile”. Ed è proprio questa malleabilità la proprietà che ha decretato il successo della plastica negli anni, rendendola un materiale estremamente versatile e semplice da utilizzare.

Ma quando inizia la sua storia? Per rispondere a questa domanda dobbiamo tornare al 1860, quando un’azienda di New York che produce biglie da biliardo, fino a quel momento fatte in avorio, offre 10mila dollari a chi fosse riuscito ad inventare un materiale più economico e sostenibile. Circa dieci anni dopo John Hyatt inventa la celluloide, la prima materia plastica artificiale, composta da nitrocellulosa, azoto e canfora. Questa aveva però un grande difetto: era estremamente infiammabile. La soluzione a questo problema arrivò nei primi anni del ‘900, quando Leo Baekeland riuscì a creare la bachelite, una sostanza completamente sintetica, a differenza della celluloide, composta da fenolo e formaldeide. Era nata la prima plastica termoindurente (si modella con il calore e una volta raffreddata non può più cambiare forma).
La scoperta di maggiore importanza arrivò però con gli anni ’30, quando si iniziò ad utilizzare il petrolio come materia prima di partenza nella produzione delle principali plastiche, come il polietilene (PE), il polietilene tereftalato (PET) e il polivinilcloruro (PVC).

La plastica, oltre ad essere uno dei materiali più comuni e diffusi oggi, è anche uno dei più inquinanti e difficili da smaltire tra i rifiuti solidi. L’enorme problema dell’inquinamento provocato dalla plastica non è dovuto al materiale in sé, ma ad una cattiva gestione del suo smaltimento con conseguente dispersione della stessa nell’ambiente. Secondo diversi studi, infatti, solo il 10-15% delle materie plastiche prodotte nel mondo viene recuperato con il riciclo, il resto viene incenerito, accumulato in discarica o, peggio, finisce nei corsi d’acqua, andando a inquinare i nostri oceani (che inghiottiscono circa 8 milioni di tonnellate di plastica all’anno).
Una volta che arrivano in mare, i rifiuti di plastica con il tempo vengono degradati in piccole particelle inferiori al 0,1 cm di diametro, andando a formare quelle che vengono chiamate microplastiche. Queste ultime sono state trovate in tutte le acque del pianeta, con conseguenze nocive sia sull’ambiente, che sulla fauna, che sulla nostra salute, in quanto si inseriscono all’interno della catena alimentare. Inoltre le microplastiche possono essere rilasciate in mare con il lavaggio di indumenti sintetici e con l’utilizzo di prodotti estetici come gli scrub.

Oltre alla dispersione in ambiente c’è un secondo grande problema legato a questo materiale: circa il 40% dei prodotti in plastica è composto da plastiche monouso, un dato allarmante se pensiamo che queste hanno una vita di utilizzo di pochi minuti o ore ma possono rimanere nell’ambiente centinaia di anni prima di degradarsi.

La soluzione a questi due principali problemi potrebbe quindi essere quella di ottimizzare tutto il ciclo vitale della plastica, dalla produzione allo smaltimento. Come prima cosa, tenendo conto della breve vita del packaging usa e getta, bisognerebbe ridurre la produzione di plastica monouso, eliminandola ove si può farne a meno. In secondo luogo bisognerebbe applicare il modello di economia circolare a questo materiale, progettando plastiche adatte al riciclo e prive di sostanze tossiche.

Il riciclo della plastica è quindi un’azione fondamentale per l’ambiente, ma come funziona?
Prima di tutto la plastica viene portata negli impianti di selezione e trattamento, dove viene separata dalle impurità e suddivisa per tipo di polimero; sul territorio nazionale sono operativi 35 centri di selezione di rifiuti di imballaggi di plastica.
Si prosegue poi con il processo vero e proprio di riciclaggio, che può essere meccanico o chimico. Quello meccanico, che è anche il più comune, tritura i diversi polimeri di plastica formando piccoli granuli detti “fiocchi”; si parla in questo caso di “materia prima secondaria”, cioè con caratteristiche tecniche e chimiche del riciclato molto simili a quelle iniziali. I materiali che permettono di ottenere i migliori risultati in termini di recupero sono: PET, PVC e PE.
Il riciclo chimico è ancora in via di sviluppo e mira a spezzare le molecole base della plastica (polimeri) per ottenere le materie prime (monomeri) di partenza della stessa qualità di quelli vergini. Il riciclo chimico si sta rivelando un metodo particolarmente importante, perché in grado di sopperire ad alcuni limiti insiti nell’attuale modello di economia circolare della plastica, che ne esclude alcune tipologie e non può essere ripetuto all’infinito.
La plastica che non viene riciclata finisce in discarica o nei termovalorizzatori, ossia inceneritori in cui il calore sviluppato durante la combustione dei rifiuti viene recuperato per produrre vapore, che viene a sua volta utilizzato per produrre energia elettrica.
Secondo il Corepla (Consorzio nazionale per la raccolta degli imballaggi in plastica), nel nostro paese nel 2017 si è avviato al riciclo solo il 43,5% degli imballaggi raccolti, il resto è finito nei termovalorizzatori (40%) e in discarica (16,5%).

Raccolta differenziata. Cosa gettare nella plastica?
In Italia si stima che ogni persona produca in media 1kg di rifiuti plastici ogni 5 giorni, che corrisponde circa a 75kg di plastica all’anno. Riciclare diventa quindi fondamentale per permettere di riutilizzare questo materiale evitando che si disperda ulteriormente nell’ambiente! Le disposizioni per il coretto riciclo possono variare da Comune a Comune, ed è per questo che è sempre buona pratica informarsi su quelle della propria città. Nel caso di Parma, ad esempio, è possibile consultare il Rifiutologo di Iren.
In ogni caso vediamo di seguito alcune linee guida per effettuare una corretta raccolta differenziata:

  • Bottiglie di plastica, flaconi e dosatori, vaschette delle uova, pellicole per alimenti, Pluriball, buste e borse di plastica, bombolette spray non infiammabili, polistirolo per alimenti e polistirolo di piccole dimensioni per imballaggi, devono essere gettati nel bidone della plastica.
  • I giocattoli in plastica di dimensioni piccole e medie che non contengono parti elettroniche, vanno smaltiti nel bidone dell’indifferenziato, in quanto non possiedono le caratteristiche necessarie al riciclo. I giocattoli in plastica di grandi dimensioni o elettronici vanno invece conferiti all’isola ecologica locale.
  • Penne e pennarelli, anche se costituiti principalmente da plastica vanno gettati nell’indifferenziato perché contengono inchiostro e altre sostanze chimiche che li rendono non adatti al riciclo.
  • Le capsule in plastica del caffè, se pulite dai residui della polvere, possono essere smaltite nella plastica, altrimenti vanno gettate nel residuo.
  • I bicchieri in plastica dura e le posate di plastica vanno smaltite nell’indifferenziato, mentre i bicchieri e i piatti in plastica usa e getta possono essere buttati nella plastica.
  • I contenitori in Tetrapack sono realizzati in carta, alluminio e plastica. Dove smaltirli viene deciso dal Comune, in alcune città lo si deve gettare insieme alla carta avendo cura di eliminare il tappo o il beccuccio di plastica, mentre in altre (come nel Comune di Parma), può essere riciclato con la raccolta della plastica.

Ricorda: se smaltiti e recuperati correttamente i rifiuti possono costituire un’ottima risorsa!

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *